Pensando ad un possibile titolo da dare a questo articolo, mi è venuta alla mente la funzione che i portali delle grandi chiese medievali avevano per quanti, pellegrini o fedeli comuni, vi giungevano e si accingevano a varcarne la soglia: il portale è più di un varco, è più del luogo materiale ai cui cardini sono appese porte, lignee o metalliche che siano, più o meno artistiche. Il portale è un luogo presso il quale si sosta prima di attraversarlo, prima di spingere un battente per accedere alla chiesa. Un portale è il luogo presso si richiede una sosta e, con un atto umanissimo – quello del guardare – si osservano, possibilmente con calma, gli elementi, le decorazioni, le forme, i colori e le geometrie. Si tratta di un vero “atto di lettura”!
Ecco perché voglio parlare di “una porta da leggere”, perché nell’intenzione mia e di chi ha realizzato il progetto delle nuove porte per la Chiesa di San Michele Arcangelo, non c’era solo l’idea di sostituire con nuovi battenti le due vecchie porte usurate dal tempo e dagli agenti atmosferici, ma soprattutto quella di dare alla facciata della chiesa una dignità che motivazioni storiche le hanno finora negato. L’idea nasce dal concetto di “biblia pauperum“, che non significa “libro per gli ignoranti”, bensì “libro messo a disposizione di tutti”, perché chiunque attraversi la piazzetta sulla quale affaccia il nostro santuario, possa sostare a leggere.
Per questo abbiamo inteso realizzare un portale, tre in verità, che fossero capaci di “parlare”, o almeno, di “essere letti”.
Come ogni “scrittura”, sacra o meno che sia, un testo che non viene “letto” resta inesorabilmente “morto”, così un portale, se non viene “letto” da chi si accinge a varcarlo non è in grado di parlare.
Le nuove bianche cornici, che spiccano sul “non finito” del laterizio, sono un punto di luce che brilla anche in pieno giorno. Come una pagina bianca sulla quale un bravo scrittore si accinge a vergare i suoi pensieri. E da quel bianco emergono i nuovi battenti, scritti, scolpiti nei materiali più disparati, riassemblati per questo racconto che ha bisogno dello scorrere del tempo e degli agenti naturali per essere di stagione in stagione più leggibile.
Iniziamo la nostra lettura dal basso verso l’alto.
Il portale centrale dedicato a Cristo.
La Croce è universalmente segno del Cristo: qui l’abbiamo voluta non solo “segno” identitario, ma strumento di apertura (le due sezioni verticali della croce sono le impugnature delle maniglie): alla Croce, se si vuole aprire questa porta, bisogna aggrapparsi, bisogna passare attraverso di essa, metro di giudizio e strumento di salvezza ultimo e definitivo:<<Io sono la porta, chi passerà attraverso di me sarà salvato>>, così ammonisce la Voce scolpita nel metallo che fa eco alle parole di Gesù nell’Evangelo di Giovanni (10,9).
Tuttavia, è una croce gloriosa, gemmata: fa segno alla vittoria pasquale del Cristo. Ma le gemme sono dodici, come gli elementi che la costituiscono. Tali gemme, di colori diversi, sono rimando alle dodici pietre che formano i basamenti della celeste Gerusalemme, simbolo delle dodici tribù di Israele e dei dodici Apostoli dell’Agnello. Chi varca questa porta deve sapere e ricordare che sta andando incontro ad un “oltre”, a qualcosa che si sta preparando, che “viene da Dio”.
Nella lunetta, precedentemente anonima, ora risplende l’icona moderna della “Madre di Dio orante”. Quanti sono addentro all’iconografia mariana, sia occidentale che orientale, sanno che l’immagine, o le immagini, della Madre di Dio nei portali delle chiese, non rimandano semplicemente alla “Maria storica”, e non sono solo espressione di devozione mariana; piuttosto Maria, nei vari “tipi” iconografici, diventa segno di qualcosa d’altro. Qui, l’Orante è certamente la Madre del Verbo incarnato, la “Ianua coeli”, come la definisce la devozione occidentale, ma è anche simbolo della Chiesa sacerdotale, con le braccia alzate in preghiera, la “Chiesa” che dà il nome all’edificio stesso.
Come nei portali delle antiche chiese medievali, qui è riassunta, in linguaggio moderno ed essenziale, la Storia della Salvezza, i misteri dell’incarnazione del Cristo, della sua “gloriosa passione” e del giorno ultimo e definitivo che deve venire: sono messi insieme il “già” ed il “non ancora”.
Nei portali laterali troviamo, come la storia dell’architettura sacra ci insegna, i temi “minori”, che sono tali in relazione alla “grande storia salvifica”, ma che parlano di una relazione importante col popolo che vive in questo territorio. Così, seppure Miglianico ha perduto la memoria di gran parte del suo divenire nel corso del tempo, le origini, la fondazione stessa, legata alla presenza longobarda, non debbono essere dimenticate. Quel popolo dall’Europa centrale che penetrò fino all’Italia meridionale, fece dell’Arcangelo Michele il suo Santo nazionale, ed il nostro paese custodisce una traccia di questo passaggio.
Sulla sinistra è collocato il portale dedicato a San Michele Arcangelo, titolare della chiesa e della parrocchia stessa. La sua presenza è evocata dalla citazione di due testi biblici che menzionano l’Arcangelo, Apocalisse 12,7-8 e Daniele 12,1. In entrambi i testi si fa menzione del ministero di protezione di Michele nei confronti del popolo di Dio.
La porta di destra è dedicata a San Pantaleone, indiscusso patrono di Miglianico. Non starò qui a ricordare la storia della “venuta” in paese del Santo medico anàrgiro, dopo che il monastero basiliano che ne aveva tramandato il culto, dall’Oriente bizantino, era ormai scomparso, ridotto a macerie a motivo delle incursioni saracene.
Sulla porta in questione, come nelle migliori tradizioni, senza alcuna presunzione, la committenza ha voluto fosse immortalata una sua memoria. Nella sera del 31 agosto 2014, prima di prendere possesso canonico della parrocchia, feci sosta al santuario. Insieme all’omaggio floreale, offrii al Santo una preghiera tratta dalla liturgia bizantina del 27 luglio, l’apolitikion della festa: Vittorioso santo e medico Panteleimon, prega Dio misericordioso affinché ottenga alle anime nostre la remissione dei peccati. La preghiera che quella sera ho rivolto al nostro patrono, ora diviene patrimonio comune.
Infine, quando scende la sera, alzando lo sguardo sulla parte alta della facciata della chiesa, una nuova illuminazione nobilita una superficie che i tecnicismi aridi e codificati dai burocrati definiscono “storicizzata così”, come dire: senza nessuna possibilità di riscatto.
Le luci nuove mettono in risalto dei volumi poveri, semplici, che prima non si notavano. Mi piace piuttosto pensare, seguendo la lezione del grande architetto catalano, il servo di Dio Antoni Gaudì, che ciò che gli uomini scartano è innalzato: dall’alto è visibile questa facciata incompleta, ma definitiva, povera, ma che attende completezza e pienezza quando apparirà la celeste città, la santa Gerusalemme che è nostra madre.
don Gilberto