“Quando si parla di padre Pino Puglisi, il rischio è quello che si celebri un eroe: in realtà don Puglisi non è stato un eroe, ma semplicemente un coraggioso testimone di Gesù Cristo”: così suor Carolina Iavazza, fondatrice del centro “Buon Samaritano” di Bovalino (RC) e collaboratrice del sacerdote di Brancaccio ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993 ha iniziato la sua toccante testimonianza di fronte ad oltre 500 giovani e giovanissimi dell’Azione Cattolica diocesana durante l’annuale happening che si è svolto il 12 marzo scorso presso l’auditorium “Edoardo Menichelli” della parrocchia di San Francesco Caracciolo a Chieti e al quale hanno partecipato anche i gruppi della nostra parrocchia.
Una giornata intensa, che ha visto i giovani riflettere sul tema “Come marinai che si sento perduti volgiamo gli sguardi in lontananza alla ricerca di una vela bianca tra le nebbie dell’orizzonte”, che l’arcivescovo, mons. Bruno Forte, ha riletto adattandola alla vita personale di ogni giovane cristiano che ha momenti di incertezza e di smarrimento, ma che trova in Cristo sempre la sua vela bianca che gli appare in lontananza tra le nebbie dell’esistenza. Una vela bianca che richiede però gesti concreti di speranza, che non può essere accolta semplicemente come salvezza personale, ma che impegna ciascuno a dare ragione della propria scelta cristiana.Ma è stata la testimonianza di suor Carolina che ha letteralmente inchiodato alla sedia i giovani e i giovanissimi: la religiosa, che oggi vive in un’altra terra difficile, la Locride, segnata dalla presenza di un’altra organizzazione mafiosa, la ‘ndrangheta, ha narrato del coraggio di padre Pino, della sua volontà di sollevare il quartiere palermitano dalla negligenza e dall’oblio che tutti gli amministratori pubblici avevano dimostrato e di educare tutti i piccoli al rispetto, al lavoro, all’educazione, al “pensare con la propria testa”. «Lasciate che la morte vi trovi vivi – ha esortato suor Carolina – perchè non importa quanto vivrete ma il modo in cui sceglierete di farlo: è importante che ognuno lasci un segno».
Nel pomeriggio, dopo la santa messa celebrata da mons. Forte, i partecipanti all’happening hanno approfondito le tematiche della giornata in un momento di riflessione in gruppo e hanno assistito ad un’altra testimonianza di speranza, quella dei ragazzi disabili dell’ANFFAS di Ortona, che hanno portato tra i giovani il loro spettacolo tratto dal progetto “danAbile”, che utilizza il linguaggio del corpo e il movimento attraverso la musica in maniera tale che i ragazzi si scoprono capaci di esprimere le loro emozioni, quello che sono e che sentono, superando i lori limiti.
All’ingresso della grande croce di Cristo, nostra vela, nostro riferimento e nostra speranza, i giovani hanno chiuso la loro esperienza, intensa, bella e coinvolgente, riconoscendo in Lui l’unico approdo della propria vita.
Antonello Antonelli